Quando lo scorso anno lo chiamò alla guida del Benevento per sostituire Marco Baroni il presidente Oreste Vigorito sperava in un miracolo, nonostante la situazione di classifica fosse a dir poco disperata. Il miracolo non si avverò ma Roberto Zerbi si è conquistato un posto speciale nel cuore dei tifosi giallorossi e del patron Vigorito, perché riuscì nell’impresa più difficile: salvare la faccia ad una squadra che, affacciatasi per la prima volta nella massima serie, rischiava di precipitare nuovamente in Serie B stabilendo tutti i record negativi possibili.
Il ricordo dell’esperienza sannita
Oggi, l’ex attaccante di Napoli, Cluj e Catania, è il personaggio del momento: il suo Sassuolo occupa una posizione di vertice nella classifica della Serie A e soprattutto i suoi ragazzi stanno praticando un gioco spettacolare che nulla a che vedere con la difesa ad oltranza praticata generalmente dalle squadre in lotta per la salvezza. Lo stesso gioco spettacolare messo in atto lo scorso anno a Benevento, dove pure sarebbe stato “più semplice condurre la squadra ad una triste ed anonima retrocessione che cambiare rotta e provare a dare una svolta attraverso principi di gioco chiari e proattivi” (Numero Diez).
“Quello che mi rende più orgoglioso – ha ricordato ieri sul quotidiano Libero a proposito dell’esperienza sannita – è che quella squadra ha assorbito il mio carattere. Si allenava al massimo, andavamo in giro rispettando tutti, ma con coraggio e un’ idea chiara”.
La filosofia calcistica
E al diavolo le critiche di chi riteneva che sarebbe stato più opportuno coprirsi maggiormente: “Non esiste un solo tipo di calcio, quindi tutti hanno ragione e tutti hanno torto, anche chi ha vinto. Perché anche chi ha vinto, come Mourinho ad esempio, ha pure perso. O Conte: ha stravolto la Juve ma prima era stato cacciato dall’Atalanta. L’importante è che quando si va a giudicare un’idea la si rispetti e si cerchi di comprenderla”.
De Zerbi un’idea di gioco, sia pure diversa dalla stragrande maggioranza dei tecnici italiani, ce l’ha e la difende a denti stretti: “Quando mi dicono “non cura la fase di non possesso” divento matto: se uno viene con me una settimana capisce che l’aspetto difensivo per me è prioritario, però utilizzo modalità diverse, non tradizionali e lontane dalla cultura italiana. Spesso la stampa arriva a conclusioni facili, dettate solo dal risultato: mi sta bene, però devi fermarti alla cronaca. Se invece vuoi “giudicare” devi avere gli strumenti per capire la partita e spiegarla, non partire dal risultato e andare in retromarcia”.
Il turnover e il rapporto con i giocatori
Per l’ex trainer di Foggia, Palermo e Benevento un aspetto fondamentale è soprattutto quello del rapporto con i suoi giocatori: “La società di oggi è diversa rispetto a quando ero giovane io. All’epoca allenatori e insegnanti li rispettavi a prescindere, altrimenti le prendevi. Se oggi pretendi rispetto senza darlo è sicuro che finisce male: io chiedo il tuo parere, ti ascolto, tu in cambio devi accettare le mie scelte”.
E, sempre nell’intervista concessa ieri a Fabrizio Biasin e Claudio Savelli, ha chiarito il suo pensiero anche a proposito del turnover, un tema che sta tenendo banco anche a Benevento in questo ore: “Ad Empoli ho cambiato mezza squadra per gestire le forze e per coinvolgere tutti. Se dico ai miei “in campo dobbiamo divertirci” ma poi non li metto mai, non sono credibile”.
Parole che suonano come musica per il patron Vigorito, che in cuor suo spera di aver trovato nell’altrettanto “spericolato” Cristian Bucchi il degno erede del tecnico bresciano.